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Landini rientra in Fiat dalla porta principale

4 Settembre 2013 , Scritto da CARANAS

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per un funerale è sempre possibile

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La vignetta del lunedì

2 Settembre 2013 , Scritto da CARANAS

La vignetta del lunedì

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Il governo dei rinvii

30 Agosto 2013 , Scritto da CARANAS

Il governo dei rinvii

"Per questo governo sto dando sangue, salute e tutto. Ma non è quello per cui ho fatto la campagna elettorale. La mia prossima campagna elettorale sarà per un governo di centrosinistra. Le larghe intese sono situazione straordinaria, ogni soluzione va trovata cercando punti d'intesa". Sono le parole di Enrico Letta, durante l'intervista con Mario Orfeo alla festa nazionale del Pd a Genova. Ma, ha aggiunto il premier, "non è solo il governo dei compromessi e dei rinvii come dicono alcuni detrattori. Questi quattro mesi di governo stanno cambiando l'Italia molto più di quanto si pensi".

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Sorridi, è giovedì

29 Agosto 2013 , Scritto da CARANAS

Sorridi, è giovedì

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una piccola anticipazione del mio nuovo libro

28 Agosto 2013 , Scritto da CARANAS

una piccola anticipazione del mio nuovo libro

di Carmelo Anastasio

(ovvio : vietata ogni riproduzione- lo scritto è protetto da Copyright © )

1 – A Fuscaldo

Era il due di maggio del 1559. Quella mattina a Fuscaldo le condizioni meteorologiche non promettevano bene. Guardando in alto, le colline che sovrastavano la meta dei nostri personaggi, erano immerse, nonostante la buona stagione, in quei colori odorosi fatti di acqua mista ad anice. La via per arrivare al Castello dell’Elce, summa reale dei signori di Fuscaldo, sempre in salita, piena di sassi acuti e sporgenti, a volte ‘ccussì stritta e tale da lassari passare appena una persona, rendeva ‘ndra calura più faticoso il viaggio.

La primavera era già iniziata e la vita scorreva normalmente. Qualunque cosa voglia dire la parola normale.

Bartolomeo, uno dei capifamiglia guardioti tra i più anziani che volevano un Cristo senza voce , legati da una necessità reciproca, respirava forte cercando di superare gli ostacoli per non rimanere dietro .

Immaginando quello che sarebbe successo, con una espressione che stava tra disagio e sfiducia, provava un dolore alimentato anche dalla tensione, con crampi allo stomaco tra affetti e paure.

Il resto del gruppo si muoveva silenzioso tra terrazze di terreno coltivato, sustinute da muri a siccu e pomposamente verdeggianti.

Giunti in prossimità di due querce secolari, appena sopra il borgo della marina e vicini alla sorgente ciota e moddra di Calipetro, Bartolomeo , ansimando pregò gli altri di fermarsi per ristorarsi un po’ ‘ccu l’acqua frisca, anchi si nun sapiva di nenti’.

Gian Luigi Pascale aiutò presto Bartolomeo a rinfrescarsi sorreggendolo .

Questi, dopo aver bevuto l’acqua a piccoli sorsi fra le mani giunte, rivolgendosi al Barba[1] che l’aveva sorretto disse:

“ figlio mio, forse non è cosa buona che tu venga con noi. Non sei neanche stato convocato e può essere pericoloso per te e, forse per tutti noi”.

« Sono stato chiamato ad assolvere un compito. Né da me, né da voi dipende quello che è già stato deciso. Dio ci proteggerà» rispose Pascale volgendo lo sguardo verso il mare. Poi tenendo per il braccio il vecchio, ripresero in silenzio il cammino.

A un miglio circa dalla cinta di Fuscaldo, folte nubi si vedevano salire velocemente dal mare oscurando il sole e portando quel po’ di frescura che alleviava le fatiche della salita.

Un tuono cominciò a farsi sentire e l’eco lo ripeteva prolungandolo dal monte Calabrone sino alla valle Pulcara.

Arrivati al Passo e pagata la gabella sull’entrata in paese al gabellotto che mostrava fretta di concludere, i ventiquattro capifamiglia guardioti, Marco Uscegli e Gian Luigi Pascale affrettando il passo ricominciarono a salire per il sentiero e sempre più spruzzati dalla pioggia, arrivarono alla porta di Juso a nord della cinta, la più vicina al castello.

Li c’era un corpo di guardia ed una cantina. Al rumore di una cavalcatura che si avvicinava, comparve sulla soglia un uomo armato di schioppo che avvicinatosi a colui che guidava il gruppo, il Barba Negrino, lo salutò , si levò lo schioppo e gli disse che S.E. il Marchese Spinelli li stava aspettando; quindi e si avviò spronando il cavallo e incitando gli altri a seguirlo sull’erta .

Arrivati al castello furono introdotti e fatti passare per un andirivieni di corridoi molto luminosi e per varie sale tappezzate da arazzi ed armi.

I ventiquattro anziani, il Negrino, l’Uscegli e il Pascale furono fatti accomodare nell’ampio salone della “cisterna”, cosiddetta perché era situata poco distante da una capiente vasca in muratura.

Dalle finestre tutte uguali, si vedeva la loggia di arcate a mezzo punto intorno al giardino agreste con campanule gialle, gelsi e ginestre. Un fresco profumo quasi dolciastro misto a odori d’essenze di terra e muschio trasportati dall’aria della vicina campagna e il pungente azoto riempiva le loro narici.

La bellissima Donna Francesca Spinelli, duchessa di Seminara, conoscente segreta della loro dottrina, entrò nella sala e riconosciuti l’Uscegli e il Pascale, tentò insieme all’economo del castello di dissuaderli dal presentarsi; li avvisò quindi con fare serio e preoccupato, che avevano causato inimicizie potenti e grande fermento, che perciò la migliore difesa per loro era quella di evitare il pericolo: li esortò infine a partire e a desistere dal loro disegno.

Gian Luigi, pur colpito dallo slancio di generosità di Donna Francesca, sdegnò con garbo il consiglio, forte del suo impeto ardente, stupendo anche i compagni pedemontani.

Avvicinatosi alla donna, quasi con aria spavalda: “Vi prego, non preoccupatevi madonna. Io non ho paura” - disse, poi vedendola spaventata, facendosi più vicino, quando gli occhi s’incontrarono, premette la candida mano di lei tremante sul proprio petto.

Il viso di Donna Francesca si fece vermiglio e risplendeva di paura e di indecisione circondato dai morbidi capelli che le sfuggivano sotto il velo che li racchiudeva e che la rendeva ancora più bella con quell’aria profumata da odalisca saracena.

Soffriva vistosamente e sembrava lamentarsi delle altrui sofferenze.

A Pascale, per un attimo, dopo aver cercato lo sguardo preoccupato degli anziani, parve di essere in colpa.

Nello sguardo di lei dolce e non scandalizzato, c’era una tenerezza da cui traspariva non una condanna, ma l’ammirazione per le sue scelte.

«Se non io, chi mai è colpevole di quello che potrà succedere?» Pensò Pascale senza volerlo.

Lui soffriva e incominciava a sudare. Qualcosa aveva scosso la sua solitudine. Nel suo cuore qualcosa si complicava, ma che cosa fosse non poteva ancora capirlo.

Poi, la donna, vinta dal suo pudore, lestamente si ritirò abbozzando un fuggevole cenno di saluto.

Gian Luigi seguì con lo sguardo la giovane duchessa, e notando che la preoccupazione nei compagni cresceva disse loro: “abbiate fede miei cari, vedrete che tutto si risolverà per il meglio”.

Era un fresco mattino di maggio e dalla finestra si vedevano i campi coltivati e, in fondo, la fila di pioppi lungo il fiume Maddalena; sopra la collinetta che guardava il mare, si distinguevano gli ulivi , i ciliegi, il rosa dei peschi della tenuta del Carivario e tanti fiori gialli. Si notava chiaramente la piccola strada che gira intorno ai precipizi dove si scende dalla montagna, i ruscelli, le querce ed i lecci.

Quel paesaggio primaverile sarebbe divenuto per Gian Luigi la cornice di un sogno ricorrente che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita.

I guardioti vennero condotti nella sala delle armi, dove il Marchese colloquiò con loro ma soprattutto con Pascale subendo il fascino del suo modo di parlare, dei concetti e dei principi della Riforma che egli esponeva con gran convinzione. Alla fine della giornata, don Salvatore licenziò i rappresentanti delle ventiquattro famiglie di Guardia, trattenendo però Pascale, l’Uscegli e il Negrino nel castello, con il pretesto di ulteriori interrogazioni sugli avvenimenti e sulla effettiva situazione creatasi in seguito alle sue predicazioni.

Il Marchese cercava di accontentare Roma senza colpire i suoi sudditi. In realtà costui poneva ogni attenzione nel ricondurre l’apparente unità di fede nei suoi feudi, paventando un intervento armato del Viceré di Napoli. Cercando di non offrir pretesti ad ingerenze, evitava di accusare i suoi vassalli di luteranesimo, suscitando il malumore di don Anania di Taverna suo consigliere e diretto informatore dell’inquisitore generale S.E. il Cardinale Alessandrino, il domenicano Michele Ghisleri da Bosco (Alessandria) che diverrà papa col nome di Pio V.

Nei giorni seguenti i due riparlarono dei concetti e dei principi della Riforma Evangelica che si andava diffondendo, del rifiuto di ogni obbedienza agli ecclesiastici in fatto di fede, del rifiuto del Purgatorio e delle preghiere per i morti, delle invocazioni alla Madonna Vergine e ai Santi in genere. Il Pascale parlava delle dottrine evangeliche con aperto entusiasmo e con abilità capace di scuotere chiunque dalla propria pigrizia spirituale.

Al cavaliere napoletano don Salvatore Spinelli ( non ancora marchese, ma tutti ormai sapevano che il titolo era in arrivo) che conosceva appena i principi della nuova confessione di fede, il mondo del Pascale e dello stesso Calvino, sembrava un tormento seducente.

Don Salvatore fino al mese prima aveva lasciato tranquilli i Valdesi delle sue terre, non potendo che esserne soddisfatto. Nonostante ciò per non cadere in sospetto dell’Inquisizione e salvare se stesso, cominciò poi a pensare che fosse necessario ricorrere a misure di rigore. Lo stesso cardinale Alessandrini lo aveva invitato a curare meglio fra i suoi sudditi la purezza della fede e gli interessi della chiesa di Roma. Un brivido di paura percorse la schiena del Marchese. Nessuna virtù sarebbe stata sufficiente a fargli dimenticare che era “uomo di guerra” del Vicario di Cosenza.

La Chiesa aveva messo in moto anche in Calabria tutti i mezzi inquisitori della Controriforma per sconfiggere il radicarsi delle dottrine Luterane e Calviniste.

Pascale, riconvocato nella sala della cisterna, al cospetto del Marchese che appariva fortemente preoccupato disse avvicinandosi: “fratello, perché vi turbate così forte? Non sapete che non cade una foglia d’albero senza la volontà di Dio? ”.

Il Marchese che non si aspettava quello slancio di umanità da colui che teneva comunque prigioniero, indietreggiò.

Giovan Antonio Anania di Taverna che officiava in castello nella chiesina annessa sotto il titolo della Maddalena, entrando in quel momento, intimò villanamente il silenzio al Pascale. “Taci eretico!” disse avanzando verso i due. Il prete, che si trovava nella casa del signore di Fuscaldo in qualità di cappellano confessore e maestro spirituale delle dame, era di animo malvagio e disprezzava il Pascale ed i suoi compagni.

La sera prima, posto dal Marchese a guardiano del Pascale e dei suoi amici, aveva inveito contro loro apostrofandoli come cani traditori.

Don Salvatore, un po’ seccato dalla inopportuna presenza di Anania , invitò alla calma il prete.

Don Salvatore gli soggiunse di sedersi. Poi , rivolgendosi al Pascale esclamò: “Per quanto vi troviate in ristrettezza di libertà, credo non possiate lamentarvi del trattamento che state ricevendo!”.

“Vi ringrazio della vostra generosità, ho un buon letto e la cella è spaziosa. Del vivere parimenti, sono trattato meglio che se fossi a casa mia; e poi trovo grande umanità nei servitori, i quali mi danno piuttosto conforto che tormento” rispose Pascale.

Don Anania aveva ascoltato non nascondendo il fastidio provocato dall’eccessiva cordialità di Don Salvatore; senza accorgersi che si trattava di una cortesia più apparente che sostanziale.

Affascinato dallo spirito fervente del Barba: “Non pensate voi di arrecar grande danno alla vostra gente che finora ha vissuto in pace lavorando? ” disse il Marchese.

“Non pensate che così facendo vi si chiederà un atto di conversione?” Soggiunse consapevole che la Chiesa insisteva per ottenere da parte del Pascale la rinnegazione della propria fede di protestante così da deludere mortalmente i calabro-valdesi con la conseguenza di un quasi sicuro abbandono del loro Barba e dei principi riformatori protestanti.

Rispose il Pascale infuocandosi: “Pregherò il Signore di farmi sprofondare all’inferno piuttosto di calpestare la Sua gloria.” E continuò: “Mi sono esposto volontariamente al vostro arbitrio, i signori più ricchi della gente di Guardia mi hanno pregato, così come voi fate ora, di andarmene, per amore del popolo che però è affamato di Verità, di Vangelo e sento, con tutta la mia insufficienza, che devo restare affinché il volere del Signore si compia col farmi incontro al carcere e alla morte per il Suo nome e l’edificazione della Chiesa. Riconosco questa prigionia per una scuola più che necessaria a farmi imparare quello che non sapevo”.

Il Marchese, di fronte a tale ostinazione ribattè: “spero che il tempo vi porti a miglior ragionamento” e ordinò alle guardie che fosse riportato in cella.

[1] Barba è parola dialettale piemontese, che significa letteralmente: “zio”, in senso traslato suona “persona rispettabile ed autorevole”

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Non c'è verso - poesie su Fuscaldo ed altro - Carmelo Anastasio

28 Agosto 2013 , Scritto da CARANAS

Non c'è verso - poesie su Fuscaldo ed altro - Carmelo Anastasio

Il mio libro è disponibile oltre che online , anche presso la cartolibreria di Mario Condino in Fuscaldo Marina (CS)

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La vignetta di oggi

28 Agosto 2013 , Scritto da CARANAS

La vignetta di oggi

ma si, riprendiamo ad esser ottimisti !

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Il dialetto in Giallo uovo

27 Agosto 2013 , Scritto da CARANAS

Il dialetto in Giallo uovo

di Caranas

Ho appena finito di leggere “Giallo uovo” [ Carlo Flamigni per la Sellerio ]. Un buon libro devo dire, anche se, a mio avviso, la lettura è disturbata dalla citazione di tantissimi proverbi in un dialetto che non conosco (il romagnolo) e di difficile interpretazione.

Riprendo ora a pubblicare sul blog.Un po’ mi mancava. Devo recuperare in allenamento. Dicevo del disturbo inerente le citazioni dialettali romagnole, in realtà tale fastidio era legato non tanto agli inserimenti, ma al dover continuamente fare ricerca in fondo al libro per capirne il significato. Meglio sarebbe stato leggerne la traduzione in italiano , per quanto possibile, a piè di pagina. Interessante comunque l’uso del dialetto come arma tenace per la difesa delle tradizioni. Il mio (quello fuscaldese – CS), da quando sono in pensione, l’uso spesso anche con gli estranei ( e Camilleri che è uno dei miei autori preferiti questa volta non ne è conseguenza ); è che in certi contesti per me quest’uso deve essere prevalente se non fondamentale, un modo come un altro per segnalare (forse) a me stesso e ad altri, quanto sia breve e sottile quel filo che ancora mi (ci) lega a quella mia (nostra) culla. Ci stiamo allontanando. Sempre di più. Bene hanno fatto diversi nativi fuscaldesi a raccogliere in libri o sul web detti e proverbi; a futura memoria, si dirà.

Ma ne valeva e vale la pena ? Per chi ? Forse sono troppo diffidente verso le nuove generazioni paesane, però , anche in questa faticosissima estate, si è rafforzata questa mia convinzione. A volte mi è sembrato di parlare con alieni. Comunque sia, viva il dialetto e viva Fuscaldo .

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La vignetta di oggi

7 Agosto 2013 , Scritto da CARANAS

La vignetta di oggi

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La vignetta della domenica

4 Agosto 2013 , Scritto da CARANAS

La vignetta della domenica

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