FUSCALDO, MACONDO E IL VOLO
28 Giugno 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #FUSCALDO
FUSCALDO MACONDO E IL VOLO
ovvero …la solitudine dei vinti
Viaggio di giugno a Fuscaldo. E’ ancora li, immobile, quasi in trance avvolto nella sua persistente coltre di nebbia, un misto di acqua e anice.
Nella passeggiata allo zenit, nessuno per strada; per accompagnatore nemmeno la mia ombra.
Fuscaldo è rupestre come Orvieto e come Orte cui assomiglia molto anche per i contrafforti sotto la chiesa di San Giuseppe. Bisognerebbe proporre l’ennesimo gemellaggio.
Le città rupestri, si sa, invitano al volo. Un po’ come dire che sono altrettante piattaforme di tormento .Non puoi non sentirti aquila in questo posto. Ma sentirsi aquila e non esser aquila non è condizione felice.
Dopo aver disceso le vineddre vuote , riempite solo di chiacchiere con gli antenati, a questo penso affacciato alla ringhiera del belvedere che offre la piazza, davanti al quadro meraviglioso di verdi terrazzi digradanti sostenuti da bassi muri a secco , della collinetta del Convento del Santo e del mare laggiù , non tanto luminoso ma tranquillo e non più azzurra pista da ballo della ninfa Scilla.
Ma anche così, davanti a questo triplice sogno ricorrente sin dall’adolescenza, diventa più forte il desiderio di spiccare il volo da quassù e vederli dall’alto gli uomini parcati nel PdL, PD e una miriade di partiti minori nei loro giochi mentali ove gli affetti, il welfare , le azioni , rimangono incapsulati in rigide forme feudali tra spartizioni di disavanzo.
È un volo impossibile. Fuscaldo con i suoi uomini predestinati alla sconfitta, come più in generale in questa terra di Calabria, assomiglia sempre di più a Macondo, senza i Buendìa però, e mancano le compagnie bananifere.
Meglio allora ritirarmi da questo sito di bellezza e errore di natura. Piano mi avvio a casa, luogo più angusto ma pieno di risorse come la stanza di Melquìades. Guardando la facciata di casa, su per le scale, cerco di ricordarmi dove ho letto che “l’edificio non deve aprire ma chiudere”. Niente, non mi viene. Ricordo però altro : in questi edifici moderni Tommaso Campanella non avrebbe scritto “Del senso delle cose “ perché qui le cose non hanno più senso. Campanella ha pensato e scritto tanto finché stava dentro, in carcere. Una volta libero in Francia non ha prodotto più nulla.
Ma anche nella stanza più cubica, quella di Melquìades , non riesco a chiudere questi appunti. La domanda sull’edificio sta diventando tarlo accompagnata da De Andrè : il pozzo è profondo, più fondo della notte del pianto.
Ho dimenticato a Milano la “catena” che già mi manca……….internet!
Domani riparto. Dal terrazzino guardo su. E intanto Rino Gaetano rompe l’intervallo di silenzio con
le sue note : ma il cielo è sempre più blu. Fuscaldo get well soon!
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