Anni '50 - Il prete nel letto
Gli inverni di inizio novecento rispettavano appieno le caratteristiche della stagione : le temperature erano spesso basse ,la gelida aria di tramontana soffiava con notevole forza dal mare e molto frequentemente già ai primi giorni di dicembre la terra si ricopriva di neve, una spessa coltre bianca che in certi anni si conservava per due o tre mesi. I primi fiocchi cominciavano a posarsi su una terra brulla e spoglia, dove l'erba seccata dalle frequenti gelate aveva assunto un colore marrone, e lentamente, il cielo ed il mondo intorno assumevano la stessa tonalità di colore; la neve era la gioia dei bambini, ma anche la disperazione dei genitori: essa rappresentava certo l'inizio di un periodo di riposo dopo il lungo lavoro dei campi ma era anche fonte di preoccupazioni in quanto impediva i movimenti ed addirittura isolava per parecchi giorni i casolari sperduti nelle campagne. Allora le strade non erano asfaltate e nella peggiore delle ipotesi nemmeno imbrecciate , alcune avevano l'aspetto di veri e propri sentieri, pieni di buche , pozze d'acqua , e il servizio spartineve municipale era ancora di là da venire. Spostarsi da una casa colonica all'altra costituiva quindi un serio problema, soprattutto nel periodo di carnevale, quando si organizzavano le veglie nelle enormi cucine dei cascinali; i momenti di incontro e di allegria non erano frequenti, quindi una nevicata inopportuna e soprattutto abbondante rischiava di rovinare quei pochi momenti di spensieratezza che anche la famiglia Polidori si concedeva. Dalle finestre si seguiva con una certa apprensione il crescere del manto nevoso, ogni ora che passava voleva dire più neve da spalare per poter uscire di casa e fare la "rotta", il sentiero cioè che permetteva di andare da una casa all'altra; in certi inverni la strada era totalmente scavata tra alte muraglie di neve , e, cosa ancor più , fastidiosa, era il fatto che ad ogni nevicata occorreva aprirla di nuovo. Durante le bufere più violente non era possibile scavare il sentiero, allora si rimaneva tutti in casa , un poco a malincuore, e raccolti davanti al grande camino si discuteva o ci si impegnava in alcune piccole faccende, come intrecciare canestri o rammendare gli abiti. La sera era dedicata alle favole per i bambini, e queste avevano sempre un lieto fine, quasi a voler riscattare la povertà che regnava sovrana nelle campagne del tempo; ecco quindi comparire per magia davanti alla fiamma scoppiettante le immagini di Pollicino che si perdeva nel bosco ma che ritrovava la strada con delle briciole di pane, oppure maghi e fate che premiavano i bimbi buoni e castigavano i cattivi per punirli del fatto di aver disobbedito i genitori. La cucina era l'unico luogo veramente caldo della casa, non esistevano caldaie e termosifoni, e nemmeno stufette elettriche per riscaldare le stanze da letto, per questo fu escogitato un modo economico e soprattutto salutare di riscaldare il letto: "il prete" . Intendiamoci, non era il curato della parrocchia che si prendeva la briga di scaldare tutti i letti della zona, ma un oggetto in legno , a forma di doppio arco, che serviva a tenere sollevate le coperte, ed al centro del quale si metteva "la suora", un recipiente in terracotta dentro al quale era conservata della brace accuratamente coperta di cenere in modo che non facesse fumo e non si spegnesse troppo presto. Sono certo che la scelta dei nomi di quei due utilissimi oggetti, sia stata sicuramente dettata da un pizzico di pungente ironia. In alcune famiglie si usava invece lo scaldaletto, un altro recipiente in lamiera con un lungo manico anch'esso pieno di brace , ma con la sola differenza che era usato subito prima di coricarsi; il prete invece rimaneva a letto per parecchio tempo, e molte volte i bambini solevano addormentarsi senza toglierlo, perché il tepore che emanava era veramente gradevole. Chi possedeva un solo prete lo usava a turno: prima si scaldava il letto dei più piccoli che per primi andavano a dormire , poi dei giovani ed infine quello dei genitori che lasciavano la cucina dopo che tutti gli altri si erano coricati. Tra le altre funzioni di questo strano oggetto, c'era anche quella di favorire la lievitazione delle cresce e del pane, molte volte infatti, soprattutto in inverno , il freddo non permetteva la normale panificazione e rallentava la crescita dei filoni; quindi si provvedeva a metterli sotto le coperte dove il calore accorciava di alcune ore il processo di lievitazione. A volte si commettevano errori veramente grossolani nel mettere il prete nel letto, come quello di porre poca cenere sotto la brace ardente, il troppo calore infatti poteva incrinare il vaso oppure in certi casi anche romperlo, con conseguente rovesciamento dei tizzoni sulle lenzuola. Così quando si entrava in camera si aveva la spiacevole sorpresa di trovarla invasa dal fumo delle lenzuola bruciate e dalla puzza della lana incenerita che riempiva il sottostante materasso. L'uso del prete rimase frequente anche negli anni sessanta: ricordo ancora la piacevole sensazione di potersi mettere a letto tra le coperte caldissime, quando fuori imperversava il vento o la pioggia: ciò dava un forte senso di protezione, anche se la camera era completamente fredda ed il respiro trasformandosi in nuvoletta si ghiacciava sui vetri della finestra.
(f. digilander.libero.it)