Sull’Europa, i peggiori moralisti sono coloro che sanno di avere qualche scheletro nell’armadio.
31 Maggio 2018 , Scritto da CARANAS Con tag #NO EURO - MORALISTI EUROPEI
- di Caranas -
Le accuse che la Germania ed altri Paesi del Nord Europa rivolgono ai membri dell’area mediterranea della Ue, evocano sovente toni etico-religiosi, contrapponendo il rigore protestante dei popoli nordici all’accomodante lassismo cattolico dei popoli meridionali. Siamo stati davvero noi “terroni” a violare le regole della moneta unica, oppure i primi a farlo sono stati proprio loro nordici protestanti, i quali tentano di camuffare interessi nazionali e ambizioni egemoniche dietro un arrogante moralismo?
Già durante la prima "globalizzazione" (1870-1914) - ( a me piace il GLOCALE) , erano evidenti indirizzi di economia politica studiati per favorire i Paesi che godono di condizioni di surplus a spese di quelli in deficit. Ovvero chi domina oggi economicamente (Germania), non accetta che il mercato riequilibri i rapporti di forza facendo aumentare l’inflazione all’interno dei Paesi deboli e costringendoli ad aprirsi alle sue esportazioni e a rinunciare a sviluppare le proprie industrie nazionali ( Lamborghini e Ducati ne sono un esempio).
Vediamo ora come si è formato il debito pubblico italiano vera trappola “made in Germany”.
Negli ultimi anni Settanta la nostra economia ha dovuto fronteggiare gli effetti combinati della spinta salariale verso l’alto, alimentata da un lungo ciclo di lotte operaie, e dello shock petrolifero, ed è riuscita a resistere difendendo la propria competitività attraverso la svalutazione e aumentando la spesa sociale, per tamponare i conflitti sindacali e sostenere le imprese. Ciò implicava forzatamente l’aumento del debito pubblico che però non aveva conseguenze particolarmente negative, visto che la Banca centrale era in grado di affrontare il problema stampando moneta. Le cose si sono complicate quando le “sinistre” di governo (Andreatta, Ciampi, Padoa Schioppa e Prodi ) hanno pensato che per porre fine a un uso troppo “spregiudicato” del bilancio pubblico, occorreva “importare” dall’estero regole più “sane” e stringenti. Da qui l’adesione allo Sme e poi l’ingresso nell’area dell’Euro.
Una volta costruita la grande menzogna della tendenza tutta italiana a “vivere al di sopra dei propri mezzi”, si è messo in atto il processo che ci è costato la rinuncia alla nostra sovranità nazionale . Sono stati gli elevati tassi di interesse causati dalle scelte sopra descritte e non una spesa pubblica fuori controllo a far esplodere il debito sovrano, come è inequivocabilmente dimostrato dal fatto che, all’inizio degli anni Novanta, lo stato italiano godeva di un significativo surplus primario (cioè le entrate fiscali superavano le uscite). A discapito della democrazia sociale, ecco cosa abbiamo importato dalla UE :
- la concezione liberista dello stato minimo,
- l’abbandono dell’economia mista,
- la fine della programmazione economica e di ogni politica industriale,
- il ridimensionamento del potere del Parlamento a vantaggio dell’Esecutivo,
- la riduzione dell’autonomia impositiva degli enti locali,
- la fine della scala mobile e del principio di gratuità diffuso, ecc.
La Germania affida allo Stato il compito di salvare le proprie banche e chiama i partner europei a “salvare” gli stati indebitati come è successo con la Grecia; un affare per la Germania, assai meno per noi, visto che, abbiamo dovuto sborsare soldi che sono serviti soprattutto a pagare i debiti greci con le banche tedesche.
In conclusione una politica tedesca di sostegno alla domanda aggregata sarebbe indubbiamente un bene per l’economia globale, ma non per il modello economico tedesco.
La riduzione dell’Italia a periferia semicoloniale dell’Europa a trazione tedesca è stato il tentativo, fortunatamente fallito, di mandare in soffitta – con il referendum del dicembre 2016 – quella Costituzione che disturba il capitalismo globale perché contiene “elementi di socialismo” .
È invece purtroppo andata in porto la costituzionalizzazione di quel Fiscal Compact che rappresenta, di fatto, la messa al bando di qualsiasi politica keynesiana e, più in generale, di ogni velleità di sostenere società ed economia attraverso l’intervento pubblico.
Che vi sia ancora chi nutre illusioni in merito alla riformabilità di questa Europa, che fin dalle origini ha inscritto nel proprio DNA il compito di schiacciare le classi subalterne del Vecchio Continente, asservendole al modello di accumulazione della potenza dominante, e alle sue velleità di competere con Stati Uniti e Cina per il dominio del mercato globale, è francamente incredibile. Le violentissime pressioni politiche e mediatiche ( basta pensare al “Così imparate per chi votare “ del Commissario UE il crucco-tedesco Oettinger) che vediamo mettere in atto in questi giorni di fronte alla possibile nascita di un governo “populista” , sono l’ennesima conferma del fatto che dalla trappola non è consentito uscire “con le buone”, ma solo attraverso scelte radicali che implicano una rottura sistemica.
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