FEDERALISMO : parliamone
12 Maggio 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #POLITICA
Federalismo fiscale : perché il più
debole non soccomba e il più forte
non prevalga
Il 50 per cento circa delle retribuzioni finisce nelle
casse dello stato e
intanto gli stipendi non permettono di arrivare alla fine del mese.
di Caranas
Non molti anni fa si aspettava il 27 di ogni mese e già al 24 si gioiva senza eccessive preoccupazioni per l’arrivo imminente della busta paga .
Oggi, i più fortunati lavoratori dipendenti non gioiscono più, i soldi che riceveranno sono stati in buona parte già impegnati o addirittura spesi nelle forme d’impegno più diverse. A rincarare la dose di pessimismo, oltre alla crisi, ci pensa lo stato che trattiene circa il 50 per cento tra tasse e contributi. Non solo, fra non molti anni le pensioni si ridurranno ulteriormente raggiungen- do il 35% dell’ultimo stipendio percepito. E’ giusto tutto questo?
La Lombardia paga da sola il 27,5 % delle tasse italiane contro, ad esempio, solo il 3,94 % della Campania.
Davanti a queste ingiustizie cresce il malcontento dei lavoratori. Come non comprendere le difficoltà e la rabbia di quelli che non riescono ad arrivare alla quarta settimana?
Si parla tanto di federalismo fiscale, a volte anche a sproposito, senza però arrivare alla concretizzazione. Nel 2001, con l’approvazione della riforma del Titolo V, il federalismo è entrato a tutti gli effetti nella nostra Costituzione.
Le Regioni, le Province e i Comuni sono in attesa di finanziare le proprie spese imponendo delle tasse. Ma già accade con le varie addizionali incassate per
l’Irpef e per l’Irap , non dimenticando l’ICI sulla seconda casa.
Eppure ciò non è sufficiente.
In gennaio molti hanno ricevuto l’incremento sulla retribuzione per la perequazione (adeguamento al carovita) con la sorpresa in febbraio di trovarsi a percepire meno di quanto prendevano nel 2008 a causa degli aumenti delle famigerate addizionali.
Occorrerebbe trattenere nei territori almeno l’80% dell’IVA e il 15% dell’Irpef cui potrebbero aggiungersi le accise e imposte su tabacchi, lotterie e carburanti. Ma così le Regioni più ricche non aiuterebbero quelle più povere. “ Voi al nord non dovete scioperare se no noi che mangiamo?” diceva durante l’autunno caldo un amico napoletano .
La medicina : si potrebbe fissare ad esempio un tetto massimo del 50% della capacità fiscale, alla « perequazione» , cioè al trasferimento delle risorse dalle Regioni più ricche a
quelle più povere. Se così fosse, e la via sembra sostenibile, nessuno rimarrebbe scontento perché la proposta è equa.
La Lombardia può continuare a sostenere in così larga misura il costo delle diverse spese sociali, soprattutto quella sanitaria delle Regioni meno ricche? Non dimentichiamo poi che molti di questi soldi finiscono in mani non proprio pulite (mafia, camorra e ‘ndrangheta).
Va bene la solidarietà, l’unitarietà e l’efficacia, ma fissando dei paletti virtuosi e imponendo una spesa più attenta da rendicontare a tutti i cittadini , soprattutto a quelli più deboli, eliminando completamente i finanziamenti milionari a società legate alla politica corrotta che vorremmo sparisse. Finanziamenti buttati perché quanto promesso non verrà mai costruito. Per avere un’idea del meccanismo di “dispersione” di tali fondi, basterebbe leggersi alcune pagine delle inchieste dell’ex magistrato De Magistris.
La cura citata sopra senza pretese di espertismo, è già inflazionata da diverso tempo, ma sembra l’unica in grado di ridare dignità alla soluzione di problemi nazionali senza bendarsi gli occhi.
Alla luce poi dei recenti fatti sugli sbarchi degli immigrati a Lampedusa, vien difficile anche per noi meridionali onesti , immaginarsi un futuro tranquillo e radicato in un territorio : “in Calabria siamo i Milanisi, a Milano siamo i Terroni” diceva questa estate un amico in spiaggia. Voglio sperare che non sia così e non proiettarmi in un grande esodo verso il sud. Quo vadis?
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