IL FUOCO AMICO DEL PD
Pd, scontro Veltroni-Bersani
Vittoria Aleandri
In guerra lo chiamano friendly fire, fuoco amico; nel Pd lo chiamano dibattito interno. Per ora l’iniziativa del documento di Walter Veltroni e Beppe Fioroni ha come immediato risultato di spaccare in due gli ex popolari del partito, minacciare la leadership della minoranza di Dario Franceschini e irritare non poco il segretario Pierluigi Bersani. Facendo dunque salire la febbre del Pd a livelli da Pronto soccorso. Il documento nelle parole usate dagli estensori si prefigge non di dividere ma di unire e allargare il Pd, ma tutti ne chiedono il ritiro. I due promotori assicurano che non si vuole attaccare nessuno, anche se in privata sede qualcuno dei firmatari si lascia sfuggire che qualche obiettivo interno in effetti c’è. Innanzitutto il documento. Sei pagine fitte in cui si spiega che vista la crisi del centrodestra serve un forte partito riformatore per guidare l’alternanza. Ora invece il Pd «è senza bussola strategica». Dunque si propone il ritorno a un Pd con la «vocazione maggioritaria» senza nostalgie socialdemocratiche. Per fare questo lo strumento non è una corrente ma un Movimento, con la “M” maiuscola, che coinvolga «forze interne ed esterne al partito, tornando ad appassionare energie che si sono allontanate». Veltroni poi ha anche spiegato che «non ha senso unirsi in una barca che fa acqua da tutte le parti, bisogna rimettere la barca nella giusta direzione». E soprattutto ha lanciato definitivamente la campagna per le primarie di tutta la coalizione, affermando che il Pd deve essere “disponibile a candidare qualcuno che venga da fuori, come fu per Romano Prodi”. Perchè l’ex segretario ha intenzione di tirare dritto. E con lui Fioroni, che assicura che a nulla valgono «le parole intimidatorie» arrivate soprattutto dagli ex popolari.
Mentre Fioroni è soprattutto preoccupato per la competizione con l’Udc in un’eventuale grande alleanza, Veltroni sa benissimo che la sua battaglia dentro il Pd è minoritaria, ha già perso al congresso, e cerca la mossa del cavallo. Ecco perché il Movimento che si apre alla gente, ecco perché la candidatura a premier di un non-Pd. Molti pensano che Veltroni già voglia tentare Roberto Saviano, icona della sinistra, ma sono gli stessi che credevano fino a due giorni fa che pensasse al sindaco di Torino, Chiamparino. Molto dipenderà da quando si andrà a votare. Intanto si registra il malumore di Bersani, candidato del Pd alle primarie a rigore di statuto, che proprio poche ore prima aveva detto che se necessario si sarebbe candidato. «Veltroni dice che manca la bussola? Non è stata un’uscita simpatica – ha detto il segretario a Porta a porta -. È normale che in un partito ci sia una minoranza e una maggioranza. È meno normale il tono, il modo e il momento utilizzato. Non dobbiamo fare regali al Pdl. Perché questo non è il Pdl, ci sono tutti gli strumenti per partecipare: qui non si può stare dentro e fuori». Veleno puro invece sul “papa straniero”: prima ha ricordato che è stato Veltroni a volere nello statuto la coincidenza tra leader del Pd e della coalizione, poi ha fatto presente di non avere ambizioni personali.
Tanto basta per convincere Veltroni a replicare: «Se Bersani si è arrabbiato mi dispiace, e sbaglia perché non c’è nulla nei suoi confronti di offensivo, nulla di sgradevole».
Nella lista di quelli a cui Veltroni e Fioroni hanno pestato i calli, dopo Bersani c’è Franceschini. Ma, mentre di Bersani a parole non si mette in discussione la leadership, del capogruppo e leader di Area democratica qualcuno vorrebbe proprio la testa. «Eravamo minoranza e ad un tratto ci siamo trovati in maggioranza, se devo essere un bersaniano di complemento voglio almeno essere avvisato», spiegava Gero Grassi, popolare pugliese, per chiarire l’ acrimonia del duo Veltroni-Fioroni verso Franceschini. A scottare c’è l’annunciata nomina di Sergio D’Antoni all’organizzazione del partito. Un franceschiniano chiamato a un ruolo chiave, mentre finora i veltroniani sono rimasti a secco.
I promotori del documento non ci stanno più ad essere rappresentanti a tutti i tavoli di trattativa da chi, come Franceschini, ritengono faccia in realtà un gioco in proprio. Questo assalto alla leadership di Area dem ha fatto infuriare il capogruppo, tanto che un suo fedelissimo notava con lingua avvelenata: «Non voleva dividere? Diciamo che allora è un ingenuo alle prime armi… ». Ma in ballo c’e’ anche il testimone della cultura ex popolare, che Fioroni vorrebbe portare con sé. E questo ha fatto imbufalire Franco Marini, che dopo aver sputato fiele sull’iniziativa, insieme a Pierluigi Castagnetti, come lui ex segretario del Ppi, ha convocato una riunione di tutti gli ex popolari Pd. «Ci saranno anche Letta e Bindi, che da anni hanno seguito Bersani?», ha chiesto Fioroni con più di un pizzico di cattiveria.
In tutto ciò non poteva mancare la guerra dei numeri. Fioroni ha annunciato di aver raccolto 35 firme, circa la metà dei popolari del Pd, e assicura anche che ci sarà anche Parisi, che però, pur interessato, smentisce. I popolari di Franceschini sussurrano che invece il documento non avrebbe più di 15 firme “vere”. Una decina di firme dovrebbe raccoglierle l’ex rutelliano Gentiloni, mentre non c’è traccia per ora del numero di adesioni dei veltroniani.