“Se la riforma di Renzi passa, la scuola non sarà più come prima”
/image%2F0564428%2F20150505%2Fob_c8fd29_sciopero-scuola-5-maggio.jpg)
“Se la riforma di Renzi passa, la scuola non sarà più come prima”
Intervista a Lorenzo Varaldo, preside coordinatore del “Manifesto dei 500”: “Questa riforma è l’assalto finale dopo le leggi del passato”
«La scuola italiana è come un edificio che ha molte crepe. Andrebbe ritinteggiato, avrebbe bisogno di tubi nuovi e riscaldamenti migliori. Ma i pilastri sono ancora in piedi. Il disegno di legge sulla Buona scuola mina proprio questi pilastri. Se il ddl dovesse passare, la scuola che abbiamo conosciuto non esisterebbe più». A parlare èLorenzo Varaldo, preside dell’Istituto Sibilla Aleramo di Torino e coordinatore nazionale di “Manifesto dei 500”, l’associazione di insegnanti e genitori costituita nel 1999 per chiedere il ritiro della riforma Berlinguer. I 500 che si opposero alla riforma dei cicli, poi abrogata dalla legge Moratti, hanno aderito anche allo sciopero generale della scuola promosso unitariamente dai sindacati Flc Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda per il 5 maggio contro il disegno di legge sulla Buona scuola del governo Renzi. Erano quasi otto anni che le principali sigle sindacali della scuola non organizzavano uno sciopero di questa portata: i principali appuntamenti sono ad Aosta, Bari, Catania, Cagliari, Milano, Palermo e Roma. «Il ddl tocca tutti», si legge nella adesione del Manifesto dei 500, «calpesta i diritti e la scuola di tutti, dai precari a tutti i docenti di ruolo - che nel giro di poco tempo finirebbero nell’albo regionale e potrebbero anche essere sospesi senza stipendio perché sgraditi al preside - dagli alunni alle famiglie a tutta la società».
Varaldo, dalla riforma Berlinguer, passando per la Moratti, la Gelmini fino alla Buona Scuola, qual è il filo conduttore?
La nostra associazione ha attraversato tutta la stagione delle riforme scolastiche, o meglio delle controriforme. Ci siamo opposti quasi sempre, di qualunque colore fosse il governo che proponeva le leggi sulla scuola. Perché tutte le riforme hanno messo in discussione le fondamenta della scuola pubblica.
Quali sono le fondamenta della scuola pubblica?
In primis l’uguaglianza: la scuola pubblica ha programmi uguali per tutti, è un servizio non a pagamento e la qualità non dipende da quanto pago. Una scuola di un quartiere ricco o una di un quartiere povero devono garantire le stesse opportunità di apprendimento. Poi c’è la libertà culturale e di insegnamento, slegata da qualsiasi visione politica o religiosa. Questi pilastri sono stati sempre minati dalle leggi.
“Berlinguer scrisse che fin quando si lascia l’assunzione dei docenti allo Stato, non ci sarà mai l’autonomia scolastica. Questa idea viene riproposta nella Buona scuola”
Come?
La riforma Berlinguer, ad esempio, puntava sull’autonomia scolastica basata su finanziamenti propri, introducendo quindi le differenze tra le scuole. Finisce che quelle che possono permettersi di più hanno di più. Nel libro verde della pubblica istruzione Luigi Berlinguer scrisse addirittura che fin quando si lascia l’assunzione dei docenti in mano allo Stato, non ci sarà mai l’autonomia scolastica. Oggi questa idea viene riproposta con la chiamata diretta dei dirigenti scolastici. C’è una certa continuità con il passato.
Lei stesso è un preside. Cosa non la convince della chiamata diretta degli insegnanti dagli albi regionali?
Potranno anche esserci dei bravi presidi che si comportano bene, ma in questo modo si viene chiamati e giudicati da un singolo, non dallo Stato super partes. E ci potranno essere abusi. Il dirigente scolastico decide chi debba insegnare o meno, fino al licenziamento degli insegnanti non graditi. I presidi potrebbero chiamare i docenti secondo le loro idee e indirizzi, eliminando così il principio della libertà culturale e di insegnamento. Gli stessi salari legati al merito, ripresi dalla Moratti e poi da Profumo, ce li ritroviamo in questo disegno di legge sotto forma di premi economici assegnati dai dirigenti a una piccola parte di docenti. È la fine della collaborazione e del libero confronto. In più si apre la strada alla differenziazione dei programmi e dei livelli di insegnamento, facendo venire meno l’uguaglianza dell’istruzione per tutti i cittadini.
Questa volta però si propone l’assunzione di 100mila precari.
Anzitutto prima si parlava di 150mila precari, poi si è passati a 100mila. Di questi, 60mila sarebbero comunque stati immessi in ruolo a causa dei pensionamenti. Ne restano 40mila, che sono solo una piccolissima parte dei precari. Restano fuori tante persone che hanno accumulato competenze e punteggi, persone di cui la scuola avrebbe bisogno. Basti pensare che ci sono 6mila persone che hanno superato il concorso che ora vengono accantonate per fare un nuovo concorso. Non solo, ci sono alcune classi di insegnamento che comunque resteranno scoperte. Il rischio è che si pensi di mandare qualcuno in una classe di insegnamento che non è la sua, o che si possa passare da un ordine di scuola all’altro, dalle medie alle elementari ad esempio. Sono competenze e formazioni diverse. Diciamo allora che si tratta di assunzioni di precari per fare un po’ di propaganda, e non di un’operazione seria di qualità per la scuola. Se si volessero assumere tutti i precari basterebbe ridurre il numero di alunni per classe e tornare al tempo pieno, cioè alle condizioni precendenti il 2004 e 2008. L’assunzione dei precari della Buona scuola, tra l‘altro, avverrebbe a fronte di modifiche sul contratto nazionale e di tagli ai fondi per le scuole.
“Il rischio è che si mandi qualcuno in una classe di insegnamento che non è la sua. Diciamo allora che si tratta di assunzioni di propaganda, non di un’operazione seria di qualità”
Come viene modificato il contratto nazionale?
L’articolo 21 del disegno di legge dà la delega al governo di approvare qualsiasi provvedimento sulla scuola, dalla previsione della sospensione dei docenti non graditi dal preside all’imposizione del passaggio da una materia all’altra. In pratica si dà carta bianca al governo per legiferare senza passare dal Parlamento. È la fine del contratto nazionale, oltre che un attacco ai sindacati.
E sul fronte dei fondi per le scuole?
Faccio un esempio: la scuola dove io sono preside, a Torino, che conta circa 900 alunni, solo di spese minime di derattizzazione, cancelleria e fotocopie spende tra 18 e 20mila euro all’anno. Lo Stato ce ne dà 8-9mila euro all’anno. Noi riusciamo ad attingere ai fondi avanzati agli anni precedenti al 2000, ma ci sono scuole che devono istituire i contributi volontari. I fondi d’istituto ora verranno tagliati ancora, quindi si punterà ancora di più sui contributi volontari e sulle differenze tra scuole.
Il ddl però introduce la possibilità di destinare il 5 per mille alla scuola.
Anche questo è un attacco alla scuola pubblica. Il ddl prevede che i cittadini possano donare il 5 per mille a una singola scuola. Le più ricche, con una contribuzione più alta, potranno avere più fondi. Le altre no. È la distruzione dell’uguaglianza dei diritti alla base della scuola pubblica. Si creeranno scuole di serie A e scuole di serie B, C e D. Differenze che i contributi volontari previsti dall’autonomia scolastica hanno già cominciato a creare in passato. Ora questa riforma passa all’assalto finale.
Fonte : LInkiesta