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REFERENDUM: LA SOLITA STORIA ITALIANA , STA AGLI ITALIANI NON “BERSI DI TUTTO”
- L’ERRORE DELLA CAMPAGNA REFERENDARIA? ARRIVARE A GIUDICARE LA LEGGE ELETTORALE PER UNA PRECISA VOLONTA’ POLITICA
- VOTO NO PER IMPEDIRE ALLE BANCHE DI CONTINUARE AD ESSERE CONTRO IL POPOLO
- VOTO NO PERCHE’ AMO L’ITALIA E LA COSTITUZIONE
- VOTO NO PER RICOSTRUIRE UN’ALTERNATIVA CHE PRATICHI IL CAMBIAMENTO
- VOTO NO A CAUSA DI UNA CAMPAGNA ELETTORALE CHE LASCIA MACERIE E SU CUI QUINDI VA FATTA UNA CROCE: “NO”
- VOTO NO PER NON CADERE NEL BARATRO CHE OFFRE IL SI
- VOTO NO PERCHE’ SI CHIUDE, CON LA BENEDIZIONE DI VERDINI, LA CAMPAGNA DEI CONSERVATORI PER IL SI’
- VOTO NO PERCHE’ LA VITTORIA DEL SI’ SAREBBE IL TRIONFO DI RENZI E IL NO UN PICCOLO PASSO AVANTI PER RESTITUIRE POTERE AL POPOLO
- VOTO NO PERCHE’ MI SENTO INFASTIDITO DA RENZI, PRODI E SANTORO
- VOTO NO AFFINCHE’ IL 4 DICEMBRE DIVENTI IL NOSTRO GIORNO DELL’INDIPENDENZA
Renzi ha paura che l’Italia cambi verso (davvero)
Dalle amministrative al referendum il premier mette le mani avanti, dicendo che non è un voto sul governo. La verità è che si sente tremare la terra sotto i piedi: dopo anni di annunci e pseudo-riforme la luna di miele con gli italiani è finita e il divorzio si avvicina...
E già, il vento cambia, ed è una brezza leggera che prima o poi diventa soffio impetuoso e inizia ad andare in direzione contraria, travolgendo chi fino a quel momento credeva di andare col vento in poppa. Del cambio di clima deve essersi accorto anche Matteo Renzi, l’uomo che finora ci aveva sempre messo la faccia, andando a volto scoperto, godendosi quell’arietta leggera e pulita che lui stesso sembrava aver contribuito a rimettersi in circolo. Da qualche tempo l’uomo ha iniziato un po’ a ripararsi, a intabarrarsi tra distinguo e “ma anche”, si copre un pochino per non venire colpito da raffiche troppo violente, teme di prendere freddo e di restare al centro della bufera. Per questo si espone di meno, dice che sì, a giugno “si vota” ma “si parla dei sindaci, non di chi sta al governo”, perché ha paura di qualche contraccolpo sulla tenuta del suo esecutivo: l’uomo risoluto, sicuro di sé e decisionista per la prima volta se la fa sotto e teme di perdere, di prendersi una bella scoppola, e allora si mette un po’ meno in ballo, come un allenatore che dice che, se la squadra perde, è stata colpa dei calciatori…
Allo stesso modo, in vista del referendum di ottobre, ha smesso di personalizzare l’appuntamento elettorale come aveva fatto fino all’altro ieri: dice che in questione c’è il testo sul Senato e la Costituzione, mica il suo stesso esecutivo, e che a “personalizzare” la tornata referendaria semmai sono “gli altri”, quelli del No che non non vogliono cambiare il Paese, i gufi e gli uomini della palude, che sguazzano e si rimestano negli inciuci. Sì, sono loro a personalizzare, mica Renzi.
Insomma, il premier ci vuole far capire che nell’uno come nell’altro caso non si tratterà di dare fiducia o meno all’uomo Matteo e non si voterà su di lui (anche se noi vorremmo tanto votar su di lui, magari tornando a esercitare quel vecchio esercizio democratico che si chiama “elezioni politiche”. Vabbè…).
Ma la morale della vicenda è che Renzi, per la prima volta nella sua storia di premier, sente tremarsi la terra sotto i piedi e vede il consenso, sia personale che destinato al suo partito, erodersi giorno dopo giorno. Non ha più la sicumera di un tempo e allora si defila o mette le mani avanti dicendo che, in caso, lui sarebbe anche pronto a dimettersi.
Ma sarebbe molto più onesto ammettere da parte sua che questa deriva è inevitabile dopo due anni di promesse mancate e fallimenti ripetuti. Gli italiani innamorati del Rottamatore delle origini, dopo un biennio di convivenza con lo sposo Matteo, hanno iniziato a stancarsi delle sue abitudini: sono un po’ stufi della sua annuncite cronica, che si traduce in slogan e lanci di nuove piattaforme dove il cittadino può sentirsi finalmente protagonista ma altro non sono che supercazzole ben comunicate; ne hanno le scatole piene delle sue pseudo-riforme, ritagliate a sua immagine e somiglianza, con tornaconti che sono soltanto per sé o per il suo partito (è il caso evidente dell’Italicum, anche se in questo caso nessuno osa parlare di leggi ad personam, come si faceva in altri tempi); e sono soprattutto disillusi sulla sua capacità di fare le riforme vere, quelle che contano, sulle tasse (da tagliare davvero, e non da sostituire con altre, o rimpiazzare con un aggravio del deficit), sulla giustizia (altro che la riforma-brodino di Orlando), sulla burocrazia (dove è finito il dossier sulla Pubblica amministrazione, ministro Madia? Boh), ma anche sulla sicurezza (legittima difesa e lotta vera al terrorismo, non i caschi blu della cultura, il bonus agli studenti e altre chiacchiere) e sulle liberalizzazioni (basta a decreti che consolidano il potere inveterato di caste e corporazioni). E questo senza parlare delle riforme spot e flop sulla scuola e sul lavoro, già da cestinare, come confermano gli ultimi dati scoraggianti sui nuovi contratti indeterminati…
La luna di miele è finita da un pezzo, lo sposo si fa vedere un po’ meno, dice che non è colpa sua se ci sono stati problemi, prova a fatica a salvare il matrimonio. Ma gli italiani sono già pronti a separarsi da lui con le amministrative, e a sancire il divorzio con il referendum costituzionale. E vissero felici e contenti, senza Renzi.