Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
Blog  di Caranas

Carlo Scorza : fanatico o patriota ?

30 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #POLITICA

 

Scorza-002-1-.jpgUna singolare curiosità a proposito di Carlo Scorza : fu calabrese il primo segretario del Pnf, Michele Bianchi e calabrese anche l’ultimo vertice del Pnf, Carlo Scorza . Di lui , il giorno prima della nomina a segretario, Bottai scrisse nel suo diario : “… dopo intensa gestazione di voti abbiamo il nuovo segretario, Carlo Scorza, il calabrese biondiccio di Paola, dagli occhi luminosi e un pochino sbarrati con un’idea fissa.” E più avanti :” La Calabria affiora improvvisa in alcuni accenti in certa tornitura filosofeggiante di frasi. Lo ricordo-continua Bottai – in auge pieno di entusiasmo, impetuoso nell’azione, accorto nell’opera di organizzazione; poi in disgrazia, sostenuta con dignità e fierezza.”

Scorza non fu il protagonista della terza ondata , come sperava Bottai; diventò infatti il liquidatore del fascismo . Un fanatico o un patriota? Certamente un puro che credeva senza idolatria in un nazionalismo forse esasperato.
                                                                                           Carmelo Anastasio


Carlo Scorza

Il Fascista dell’ultima ora, che fine ha fatto dopo il 25 luglio 1943 ?

 

Dalla lettera del giorno del Corriere della Sera

20 Ottobre 2009

 

Risposta di Sergio Romano

 

Forse occorrerà anzitutto spiegare che cosa Scorza abbia fatto fino al giorno in cui il Gran Consiglio del fascismo approvò una mozione che toglieva a Mussolini, di fatto, i suoi poteri civili e militari.

Quando divenne segretario del Pnf, nell’aprile del 1943, Scorza aveva 46 anni e, alle spalle, una lunga carriera nell’apparato fascista, fatta di alti e di bassi. Molti ebbero la sensazione che la scelta di Mussolini fosse caduta su un frusto arnese della vecchia guardia, ma Scorza prese il suo incarico sul serio e dette prova di un insospettato dinamismo. Nei suoi lunghi discorsi alle assemblee dei quadri, denunciò il grigiore della burocrazia fascista, le baronie clientelari all’interno del partito, la corruzione dilagante ai vertici del sistema politico. Disse addirittura, durante un incontro, che occorreva abolire «la profes­sione di gerarca». Dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia fu tra quelli che cercarono di suscitare una reazione patriottica e invitò i maggiori dirigenti, senza grande successo, a impegnarsi in una campagna di conferenze attraverso il Paese. Quando apprese, alla vigilia del Gran Consiglio, che Dino Grandi aveva preparato un ordine del giorno contro Mussolini, scrisse e propose a sua volta una mozione che rendeva omaggio al re, ma era sostanzialmente mussoliniana. E la mattina del giorno do­po, a Palazzo Venezia, sostenne, nel corso di un lungo collo­quio con Mussolini, che l’ordine del giorno votato durante la notte doveva considerarsi privo di qualsiasi validità. Fino al pomeriggio del 25 luglio, quindi, Scorza fu un fascista leale e inflessibile.

Il primo mutamento apparve nel tardo pomeriggio quando il segretario del partito apprese che Mussolini, dopo l’udienza con Vittorio Ema­nuele III, era stato arrestato. La sua prima mossa fu quella di prendere contatto con il comando generale dell’Arma dei Carabinieri dove apprese di essere al primo posto fra coloro di cui il maresciallo Badoglio aveva ordinato l’arresto. Nella sua grande opera sulla Storia della Repubblica di Salò, edita da Einaudi, lo storico inglese Frederick W. Deakin scrive che Scorza si difese osservan­do che «il suo arresto avrebbe lasciato i fascisti senza ordini e senza guida e avrebbe scate­nato una guerra civile». L’argomento convinse il comando dei Carabinieri che lo lasciò libero; e Scorza si sdebitò impartendo alle sedi del partito l’ordine di non prendere alcuna iniziativa.

Fu quell’ordine, insieme a una lettera diretta a Badoglio nei giorni successivi, che fece di lui, dopo l’8 settembre, un «traditore». Durante la Repubblica di Salò venne arrestato e processato a Parma. E sarebbe stato molto probabilmente condannato se Mussolini non fosse intervenuto fermamente in suo favore dichiarandolo «onesto». Deakin s’interroga sulle ragioni di questa clemenza e avanza l’ipotesi che «Scorza sapesse troppe cose e che la farsa del processo fosse stata concordata precedentemente ». Liberato, fu catturato dopo il 25 aprile dai partigiani, ma riuscì a fuggire e riparò in Argentina per parecchi anni. È morto in Italia nel 1988.   

 

 

 

 

 

Mostra altro

"L'ITALIA DI NOANTRI "

28 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #ATTUALITA'

Il libro

«Ormai da Verona a Vibo Valentia

siamo tutti un po' meridionali»

Alle tesi di Cazzullo contenute in «Italia de noantri»

risponde il direttore del Corriere del Mezzogiorno

 

di MARCO DEMARCO

 

(...) È tenace il luogo comune secondo cui l’Italia sarebbe il paese delle tante capitali. La terra delle centocittà. La nazione più variegata e cangiante del mondo, dove a ogni colle cambiano l’accento e il modo di farcire i ravioli. Il paese dalle mille storie diverse l’una dall’altra, a seconda della latitudine, del ceto sociale, della tradizione locale. Una penisola lunga e stetta, mai uguale a se stessa, dove si passa da ghiacciai eterni a mari caldi, da Stati preunitari governati da Cavour e Ricasoli ad altri retti dai Borboni e dalla triade festa-farina-forca. Un paese spezzato tra un Nord industriale, moderno, avanzato e un Sud assistito, bigotto, arcaico. Ebbene, sono convinto che non sia così. Meglio; che non sia più così. Certo, il paesaggio naturale e umano muta a ogni casello dell’Autosole. Certo, nascere a Lodi piuttosto che ad Afragola, a Parma piuttosto che a Vibo Valentia, a Verona piuttosto che ad Alcamo significa avere a disposizione un reddito medio tre volte più alto, scuole migliori, infrastrutture più efficienti, credito più agevole per le imprese, una pubblica amministrazione più snella, un tasso di criminalità minore (e prezzi maggiori). Ma non esiste l’Italia del bene comune e quella del «particulare». Non c’è il paese delle virtù civili e quello degli interessi privati. Esiste una sola Italia: l’Italia de noantri. Noi italiani siamo diventati, nel bene e nel male, un po’ tutti meridionali. (...)

 

Aldo Cazzullo, tratto da «L’Italia de noantri. Come siamo diventati tutti meridionali»

 

Il vecchio Piemonte delle Langhe e di Cavour ha perso da tempo le sue virtù risorgimenta­li. E poco o nulla è rimasto, da quelle parti, del decoro piccoloborghese o della sana ipocri­sia o, ancora, del rispetto per le forme. Quel Pie­monte non è più altra cosa rispetto all’eterna Na­poli borbonica o all’infida Roma papalina. «Sia­mo diventati tutti meridionali», ecco il punto. Ed è infatti questo il sottotitolo che Aldo Cazzul­lo, firma di punta del Corriere della Sera, ha scel­to per il suo ultimo libro: «L’Italia de noantri». Del resto, è vero o non è vero che i camerieri a Vicenza, la «sacrestia d’Italia», la città di Ru­mor, non hanno più voglia di lavorare? Ed è ve­ro o non è vero che a Milano come a Reggio Emi­lia mancano i taxi alla stazione? E a Genova non convivono 61 famiglie della criminalità organiz­zata: 32 legate alla ’ndrangheta, 13 alla camorra e 16 alla corona unita?

 

E poi chi può negare che al Nord si evade il fisco come al Sud, che il traffico è meno conge­stionato e che i clacson rompono i timpani allo stesso modo? Non solo. Al Nord forse non si sa­le sui bus senza biglietto? Forse non esiste l’eco­nomia sommersa? Forse non si lavora in nero? «Forse al Nord non si paga il pizzo, non si prati­ca l’usura, non si sfrutta la prostituzione, non si cede al racket? Forse a Torino, Milano, Bologna non si ricicla il denaro della camorra, non si compra la droga?», chiede insistente Cazzullo a un disarmato Erri De Luca nel corso di un recen­te colloquio dedicato al suo libro.

 

«Sì, è così. Non ci sono più due Italie», risponde l’autore di «Il giorno prima della felicità». Non sono d’accordo. Ma sia chiaro: non per assolvere il Sud e coloro i quali lo hanno gover­nato negli ultimi anni. Non sono d’accordo, per­ché se la meridionalizzazione c’è e non si può negare, il divario resta, eccome. «L’Italia de no­antri» è un affresco assai efficace dell’Italia di og­gi, un paese dove, al Nord come al Sud, «l’ascen­sore sociale è guasto» e «il familismo prospe­ra ». E fulminanti sono i ritratti di protagonisti come Berlusconi, Fini o Tremonti. Tuttavia, sul­la meridionalizzazione che avrebbe unificato il Paese, seppure al ribasso, c’è molto da dire. La tesi è assai cara a Cazzullo, che l’ha antici­pata nel suo precedente «Outlet Italia». Già allo­ra non vedeva dove fossero i Ricasoli e i Min­ghetti, ma vedeva bene dov’erano i Borbone: «dappertutto». Nel dipingere questo quadro, Cazzullo non è solo. Gode, anzi, di un’ottima compagnia, fatta sia di meridionali, sia di «nordisti». Il che dimo­stra che la tesi non è di per sé riconducibile a un atteggiamento «leghista» o comunque antisudi­sta. Me ne sono reso conto quando ho scritto «Bassa Italia».

 

Di meridionalizzazione dell’Italia si parla sin dai tempi di Francesco de Sanctis. Quando era ministro di Cavour e di Ricasoli e come la Gelmini tentava di mettere mano al rior­dino della pubblica istruzione, De Sanctis fu og­getto di un duplice attacco: da parte dei napole­tani, che lo accusavano di volerli piemontesizza­re; e da parte dei piemontesi, che al contrario credevano di essere napoletanizzati. Fu poi Sciascia a dare corpo a una vera e pro­pria teoria. La chiamò «della palma o del caffè ristretto», perché sia l’albero, sia la bevanda sono tipici delle aree calde, meridionali, e con mafia e scandali, diceva Sciascia, salgono, come il mercurio di un termometro, su su per l’Italia. Di meridionalizzazione hanno poi parlato, tra gli altri, sia i piemontesi Ceronetti e Bocca, sia, più di recente, il casalese Saviano, le cui pagine di «Go­morra» lasciano addirittura intravedere una mondializzazione delle cattive pratiche camorri­stiche. Insomma, non è più la pedagogia pie­montese a civilizzare i meridionali, ma questi ul­timi a esportare i loro disvalori, le loro ansie agorafobiche, il loro protezionismo familisti­co-criminale.

 

Non più vittime ma carnefici. Non più soc­combenti ma egemonici. Anche quando usata per mettere in guardia dal declino italiano e non in chiave «nordista», questa tesi resta co­munque una tesi a rischio. Intanto, perché può comunque alimentare, al di là delle intenzioni, il pregiudizio antimeridionale. E poi perché, co­me si diceva, meridionalizzazione e declino non procedono di pari passo. In realtà, l’idea della meridionalizzazione tende a rappresentare un Paese con un Sud in movimento e un Nord so­stanzialmente fermo. Ma è davvero così? O, pa­radosso nel paradosso, qui davvero il Sud-Achil­le non riesce mai a raggiungere il Nord-tartaru­ga? È assolutamente vero, allora, come dice Caz­zullo, che non c’è più un’Italia del bene comune e un’altra del particulare e che ovunque, anche se si chiamano in modo diverso, i ravioli hanno ormai lo stesso sapore.

 

Ma perché sottovalutare che la distanza economica tra Nord e Sud sia an­cora quella degli anni Cinquanta? Che dal Sud sia ripresa l’emigrazione? Che qui ci sia molta più inefficienza amministrativa? E che nelle clas­sifiche del Sole-24 Ore le nostre città siano sem­pre in fondo e mai al top? «Mal comune mezzo gaudio», si dice. Se così fosse saremmo a cavallo. E invece no. La meri­dionalizzazione non ha dimezzato il divario, lo ha anzi acuito. «Certo, nascere a Lodi piuttosto che ad Afragola, a Parma piuttosto che a Vibo Valentia non è la stessa cosa», scrive Cazzullo. Appunto. L’Italia si sarà anche meridionalizzata, ma perché non vedere che il Meridione, per re­sponsabilità delle sue stesse classi dirigenti, si è nel frattempo ulteriormente meridionalizzato? Dipingere un’invasione alla rovescia, dal Sud verso il Nord, non è sbagliato, ma certo non con­sola i meridionali e chissà se aiuta davvero l’Al­ta Italia.

 

 

27 ottobre 2009

Mostra altro

MARRAZZO, si dimetta please!

26 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #POLITICA


                                                                                                                   di Carmelo Anastasio

Il ritmo degli scandali politici a sfondo sessuale si è fatto incalzante, altro che gossip! In questo degrado di potenti, allupati e ricattati , occupano ampi spazi  sulle pagine dei quotidiani fotografando questa Italia di noantri  fatta di campanili, di clan e di fazioni. Una nuova offesa per quel popolo di assennati non più tollerante verso i politici e i loro peccati di pantalone ancor più cosciente dello  sgretolamento di quei valori di casa nostra: Dio, Patria e Lavoro che sono sempre stati alla base della nostra fortuna.

Popolo di non tolleranti , perché  non siamo  cambiati nonostante le spinte berlusconiane ostentanti quello che prima si faceva di nascosto (sempre sbagliato è!) Lui ha aderito solo a una parte degli italiani . Ha usato il linguaggio goliardico dandogli dignità , ma questo  non è una conquista , è piuttosto una caduta. La nuova débacle romana con la vicenda di Marrazzo presidente della Regione Lazio , non è altro che un ulteriore tassello che si va aggiungere a quel mosaico non più velato , di potere ,di legami con la prostituzione e di cocaina . Come si può toccare il fondo così occupando un posto prestigioso di responsabilità pubblica?  Marrazzo non solo ha sbagliato nella condotta portando più volte la sua vita … diciamo a pisciare? Ha sbagliato cedendo al ricatto , ha sbagliato perché cedendo ha continuato a occupare la sua poltrona di governatore . E soprattutto ha sbagliato perché ha mentito.

Fare paragoni non interessa allo scrivente. Una cosa è certa : l’Italia di Berlusconi e quella di Marrazzo certamente non piace e non la vogliamo! Marrazzo deve dimettersi. Non basta l’autosospensione ; altra trovata partitica che però non serve a nessuno se vogliamo essere veramente credibili nel cambiamento. Ormai il danno è stato fatto . Quale compassione? Quella politica ? No in assoluto! Quella umana ? Forse ! Ognuno farà secondo coscienza.

Col venire alla luce di questi comportamenti , la conclusione non può essere che quella di essere molto vicini al capolinea.

Dimissioni quindi e subito! In questo modo il signor Marrazzo potrà dedicare liberamente il suo tempo al recupero del rapporto con la sua famiglia. Quello con gli italiani l’ha ormai distrutto.

In questa brutta storia sono tante le voci negative che dovrebbero far riflettere sulle qualità della politica oggi. Eccone alcune : debolezza ( solo della carne?); irresponsabilità; sfacciataggine ( come si fa a presentarsi davanti alla figlia di otto anni dopo le minchiate fatte?);  negligenza (uso della macchina blu per gli appuntamenti); sprovvedutezza ( pagamento dei trans con assegni in bianco); perseveranza ( non si tratta di un episodio isolato) ecc. ecc.

La notte è passata  e l’alba ... è vicina?

 

                                                          © riproduzione riservata

Mostra altro

Rabbia vecchia, veleni nuovi

21 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #POLITICA

   
In attesa che il governo si svegli dal profondo letargo, i calabresi giusti, quelli che amano la propria terra, rialzeranno la testa contro i palazzi del potere nostrani e romani per rivendicare l’appartenenza di diritto a quel popolo d’Italia della prima serie. Il 24 ottobre, ad Amantea esploderà quella rabbia secolare contro i diavoli-uomini della ‘ndrangheta e  dei partiti forti del potere che uccidono i calabresi e il loro futuro. Si protesterà contro gli avvelenamenti del mare più viola d’Italia dove sono state affondate  decine di navi contenenti carichi di morte. Ad Amantea,  la manifestazione sarà pretesa di dignità e lancio di monito alle istituzioni di ogni colore politico e punto di partenza per una nuova vita . Tutti noi calabresi e non, residenti e non, occupati e disoccupati ma soprattutto popolo assetato di libertà e di giustizia, di lavoro dignitoso , di diritto a rimanere e a realizzare il cambiamento, dobbiamo portare ad Amantea il nostro contributo.

 

E allora, contro ogni mafia, tutti alla manifestazione nazionale del 24 ad Amantea.

                                      

                                                                                                                              Carmelo Anastasio


Mostra altro

OMAGGIO A GIAN MARIA VOLONTE'

19 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #ATTUALITA'

Un guerrigliero in divisa da attore"; così era definito Gian Maria Volonté negli anni Settanta. Geniale protagonista del cinema italiano, nato a Milano il 9 aprile 1933, Volonté ha rappresentato senza dubbio il miglior esempio di attore-autore "impegnato" del secolo scorso. Diplomato nel 1957 presso la prestigiosa Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di Roma (dopo un'importante esperienza al fianco di Alfredo De Sanctis, ultimo esponente diretto del teatro tardoromantico ottocentesco), esordì lo stesso anno nella "Fedra" di Jean Racine al Teatro S.Erasmo di Milano. Seguirono anni di intensa attività fra cinema (esordio in "Sotto dieci bandiere" di Duilio Coletti, 1960) teatro e televisione (dove spicca come eccellente attore di sceneggiati quali "L'idiota" di Dostoevskij, "La pisana" e "Il taglio del bosco"), fino al fatidico incontro con Sergio Leone che lo lanciò nel famoso western "Per un pugno di dollari" (1964). Da lì in poi sarà un susseguirsi di strepitose interpretazioni: bandito, giudice, operaio, politico, ispettore, giornalista...Volonté "vampirizza" (come disse Emidio Greco) i suoi personaggi rendendoli incredibilmente autentici, soprattutto nelle straordinarie impersonificazioni di Enrico Mattei, Lucky Luciano, Bartolomeo Vanzetti, Giordano Bruno, Aldo Moro, Carlo Levi. Il suo contributo si estende oltre il semplice "lavoro dell'attore", coinvolgendo aspetti linguistici ed espressivi che esplodono particolarmente nei film di Elio Petri e Francesco Rosi; "è stato grazie alla sua interpretazione che alcuni personaggi si sono stampati per sempre nell'immaginario collettivo. Lui li penetrava fin nel più profondo dell'anima e li rendeva vivissimi attraverso i gesti, il modo di camminare, di parlare, il tono della voce, che poteva modificare in maniera incredibile" (Ugo Pirro). Gli anni Settanta diventano così quelli della definitiva consacrazione, grazie a clamorose pellicole come "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" (Premio Oscar come miglior film straniero nel 1970), "La classe operaia va in paradiso" (Palma d'Oro 1972), "Il caso Mattei" (Palma d'Oro 1972), "Todo modo" e "Cristo si è fermato a Eboli" (David di Donatello 1979), opere dure e provocatorie sui malesseri della società italiana (che, nonostante l'ostracismo del Potere, hanno contribuito in maniera determinante a creare un briciolo di coscienza storica e civile nel nostro Paese). Uomo mite, ma dalla tempra ribelle e temeraria, Volonté si distingue in quegli anni anche per il forte impegno politico e sociale a favore dei "compagni" e dei numerosi colleghi spesso penalizzati da un sistema cinematografico dispotico e sfruttatore. Erano gli anni irrequieti della contestazione e Barbara Palombelli ricorda "Piazza Esedra piena di gente; apriva il corteo Gian Maria Volonté,  i riccioli grigi, con la bandiera rossa e il pugno chiuso verso l'alto". La sua barca a vela divenne addirittura il mezzo per la fuga di Oreste Scalzone (noto leader di Autonomia Operaia, coinvolto nelle inchieste sugli "anni di piombo") in Corsica, nel 1981. "In questo, Gian Maria Volonté è stato davvero unico, orgogliosamente contro qualsiasi equilibrio costituito, mai riconciliato con la normale routine professionale, o con il quieto vivere dei rapporti meramente formali. Per Volonté essere uomo e attore non ha mai fatto differenza, per lui non c'era calcolo o interesse professionale che potessero condizionare una scelta o una presa di posizione ritenute necessarie. In anni di scontri ideologici e contrapposizioni frontali lui amava schierarsi, anche pagando costi alti in termini di carriera; era però anche un compagno di strada scomodo, perché alla solidarietà, ai tempi lunghi della politica, al compromesso preferiva spesso il gesto dirompente, perché era magari indisponibile a firmare manifesti ma sempre pronto ad accorrere, autonomamente, spericolatamente, ovunque ci fosse una buona causa da combattere" (Franco Montini e Piero Spila). Nel corso degli anni Ottanta viene quindi inesorabilmente escluso dalle nuove produzioni e gira solo sette film, fra i quali "La Morte di Mario Ricci" (Palma d'Oro come miglior attore nel 1983) e "Il caso Moro" (struggente riabilitazione dell'ex leader democristiano che gli vale l'Orso d'Argento al Festival di Berlino). Nel 1991 vince il Leone d'Oro alla carriera e partecipa al suo ultimo film italiano, "Una storia semplice" (tratto dall'ultimo romanzo di Leonardo Sciascia, autore fondamentale nella filmografia di Volonté). La morte lo coglie improvvisamente il 6 dicembre 1994 a Florina (Grecia), sul set de "Lo Sguardo di Ulisse" di Theo Anghelopoulos; muore così un vero eroe del nostro cinema, forse l'unico a credere veramente nell'utopia di cambiare il mondo attraverso una cinepresa...

 

"Io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di verità. Per me c'è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione. Essere attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l'arte e la vita."

Gian Maria Volonté, 1984

 

Le citazioni sono tratte dal libro "Gian Maria Volonté Un attore contro" (Bur, 2005).

 

 

 

Mostra altro

Il papello dei 12 punti

16 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #POLITICA

                                                                                                               di Carmelo Anastasio

 

 

PAPELLO : elenco in 12 punti delle richieste della mafia allo Stato per interrompere la stagione delle stragi dei primi anni novanta.

 

A parlarne, fu per primo il pentito Giovanni Brusca durante il processo di Firenze sulle stragi del 1993. Era il 13 gennaio 1998.

In quell’occasione, Brusca riferì di una trattativa tra il capo di Cosa Nostra e lo Stato , fatta dopo la strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone . Iniziativa che pare, secondo le rivelazioni del pentito ( lo stesso ebbe un ruolo di primo piano nella strage), sia partita dallo stesso Stato che ricevette un elenco lungo e pesante con richieste che avrebbero compreso diverse agevolazioni per Cosa Nostra. Ecco alcune delle richieste : abolizione del carcere duro per i mafiosi; revisione della legge sulla confisca dei  beni; revisione della legge sul Maxiprocesso; revisione della legge sui pentiti , ecc.

Secondo le dichiarazioni del pentito, il capitano dei Carabinieri del Ros Giuseppe De Donno e il generale Mori, chiesero allo stesso Brusca d’intercedere per avere un colloquio con il boss Riina. Vito Ciancimino avrebbe dovuto far da intermediario.

La fotocopia del “ papello” è stata consegnata  mercoledì scorso alla Procura della Repubblica di Palermo,dall’avvocato di Massimo Ciancimino (figlio dell’ex sindaco di Palermo).

Secondo “L’Espresso” che si è occupato della faccenda con un servizio corredato da fotografie dei documenti, esisterebbe anche un secondo “papello” redatto da Vito Ciancimino con le modifiche al primo , scritte da propria mano dallo stesso che vi avrebbe attaccato poi un post-it  con la nota “ consegnato al colonnello dei carabinieri Mori del Ros”

Le rivelazioni dell’ex ministro Claudio Martelli durante la trasmissione “Anno Zero” , hanno quindi prodotto quel movimento inteso agli accertamenti del caso , da parte dei pubblici ministeri di Palermo e di Caltanisetta  che a Roma, hanno sentito l’ex guardasigilli del 1992 per più di 3 ore.

Martelli aveva detto ad Anno Zero che il giudice Paolo Borsellino sapeva della trattativa tra Stato e mafia avendola appresa da Liliana Ferraro ex direttore degli affari penali nonché collaboratrice di Giovanni Falcone.

Anche la Falcone è stata ascoltata dagli inquirenti ed ha confermato le dichiarazioni tardive dell’ex ministro Martelli.

Ci interroghiamo ? Come mai Martelli ne parla solo adesso ? Come mai la cassaforte di Ciancimino contenente i papelli non è stata mai perquisita?  "La forza dei fatti", era lo slogan del  Presidente Berlusconi per strappare qualche voto ai sondaggi elettorali di Forza Italia di quei tempi.

Ha dimenticato solo di menzionare i suoi di fatti : una vita fatta di menzogne e coperta dai suoi esponenti politici, una vita derisa in italia e all'estero. Che figura di merda! Speriamo poi che nulla ci sia di vero nell’ennesimo lodo , quello afghano. Se le dichiarazioni non smentite dal Times sono vere ( lo Stato avrebbe pagato i talebani per non attentare contro i soldati italiani in Afghanistan), allora occorre fare molto di più per mandare a casa Berlusconi. O meglio, se verranno trovate prove contro di lui, dovrà essere assicurato alle carceri italiane. Così forse l’Italia riacquisterà la sua forza e dignità. 
                                                                                       © RIPRODUZIONE RISERVATA

Mostra altro

Manifestazione nazionale ad Amantea 24 ottobre 2009

16 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #POLITICA

"Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa." 
                                                                  Giovanni Falcone


Al fine di sollecitare la bonifica dei siti quasi certamente radioattivi,  è stata organizzata ad Amantea (CS) , per il 24 ottobre , una manifestazione nazionale alla quale hanno aderito già diversi soggetti, tra cui : Cobas, Manifesto, Cigl, Cisl, Uil Calabria, Italia Nostra, Federconsumatori, Wwf, Legambiente, Albergatori Confindustria, "Valle Oliva Terre a perdere" ecc.

Partecipiamo tutti ! Passaparola  - copia/incolla e pubblica sul tuo blog.

Il futuro della Calabria è anche il futuro dell'Italia. Non facciamoci sentire solo quando Venditti spara a salve!

Mostra altro

INERZIA CALABRESE

15 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #FUSCALDO

Fuscaldo e la sua inerzia

                                                                               di Carmelo Anastasio



 

 

Guardare il paese di Fuscaldo o qualsiasi paese della Calabria  con occhio di figlio di questa terra, può essere inefficace se vuol dire ripetere parole chiave in solita retorica e cercarvi dinamiche  vissute altrove, ma può essere rivelatore se vuol dire applicare l’ampliamento visivo maturato,  ora che con quell’occhio critico vedi cose che prima non avevi mai visto, o forse, non avevi voluto mai vedere …per quel che ci stavi. Si perché questo territorio va visto  fuori dai canoni lillipuziani , non dando nulla per scontato sulla sua condizione urbana e umana. E allora non ci si può fermare che sull’esame dell’inerzia di questa terra nella sua lettura in chiave contemporanea , non considerandola pura eccezione, una rete di luoghi del passato da preservare. Piuttosto rete da rimuovere in quanto anomala forma di attualità.

L’inerzia di Fuscaldo e di tantissimi altri paesi della Calabria , si manifesta già dalla sua conformazione geologica e morfologica , dai modi di abitare e costruire il paesaggio .E ne è il carattere. E se d’inerzia si può parlare , questa è proporzionale alla massa ed è resistenza al cambiamento di stato. E’ la forza che tiene il suolo insieme fino alle sue crisi che si manifestano con frane , con crepe con cui scorrono acque destinate a raccogliersi in altre masse. E’ l’inerzia dell’andare e del restare , come dopo i terremoti; contraddizione tra le migrazioni diasporiche  e l’attaccamento ai luoghi ; è l’inerzia tipicamente fuscaldese e calabrese che fa costruire case che resteranno spesso non ultimate in attesa di ritorni e produce luoghi doppi, reti di relazioni virtuali tra paesi anche lontani, che produce gemellaggi per genesi o contaminazione.

Inerzia dei movimenti lenti  su infrastrutture spesso fatiscenti, dei collegamenti rarefatti nello spazio e nel tempo pur in epoca di globalizzazione e su larga scala regionale, di attraversamenti faticosi non essendo presenti infrastrutture stradali a percorrenza veloce ( per cui paesaggio inconquistabile). E’ ancora l’inerzia delle piccole stazioni ferroviarie ormai abbandonate testimonianza della non frequentazione; di una campagna che si rifiuta di morire  e di cattedrali di cemento che ricordano gli investimenti pionieristici in un futuro progresso mai arrivato.

L’inerzia attraversa tutti i temi di lettura di questo territorio, non ultimo quello della mentalità radicata che trova nell’ostinazione la sua forza, nella resistenza  l’ultima propria risorsa e nell’attaccamento morboso la propria relazione con il luogo.

Si può allora recuperare la centralità del luogo trasformandolo da oggetto a soggetto del pensiero? Non qualcosa che non è ancora nella prospettiva di farlo esistere  secondo un modello realizzato altrove sul quale col “ponte sullo stretto” proiettare aspettative e sguardi estranei, ma qualcosa da modificare dall’interno agglomerando tutti i pensieri buoni .

Altrimenti non c’è che aspettare. Aspettare che l’elenco dei luoghi calabresi abbandonati si allunghi solidificandosi nella memoria di coloro che vi abitavano, fino a costituire un irriducibile elemento di identità. Amendolea, Africo, Roghudi, Pentidattilo… ecc.  ecc.

                                                                                          

                                          © riproduzione riservata

Mostra altro

Caro Venditti, compagno di scuola, compagno per niente...

12 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #ATTUALITA'

    


Volevo scrivere su Venditti e sulla sua ultima uscita sulla Calabria, poi ho preso in prestito un “pezzo” da strill.it che rispecchia in buona parte quello che penso su Venditti e sulla mia regione.Non ho aggiunto nulla di mio su quello che in realtà non va in Calabria perché tutti conosciamo bene la situazione reale. Su come la penso sui “panni sporchi” , ormai i pochi lettori di questo blog si sono fatti un’idea.   Nota : Giusva Branca  è il Direttore responsabile del quotidiano on line. Caranas

 

" Venditti ha sbagliato, ma il dramma della Calabria è reale"

 

 

di Giusva Branca - Strill.it è un giornale e, come tale, fa informazione. La fa bene o meno bene, a seconda di come ci riesce e, ovviamente, più o meno compatibilmente con il consenso dei lettori.

 

E l’informazione passa dalle notizie buone (non molte) e da quelle meno buone.

 

 L’uscita di Antonello Venditti, datata estate 2008 – e non l’estate scorsa, come giustamente (ma in modo impalpabile rispetto alla considerazione globale della vicenda) sottolineato dalla lettera inviataci dall’artista - è stata, fuori da ogni ragionevole dubbio, sgarbata, fuori luogo, fuori contesto ed anche falsa nei contenuti, laddove si disconosce alla Calabria il ruolo di guida culturale.

 

Ancora peggiore la replica di Venditti che ha cercato di “sistemare”  la faccenda offrendo interpretazioni autentiche dalle quali proveniva – inequivocabile – lo stridio delle unghie sugli specchi e che, come spesso accade, hanno messo in bella mostra una toppa assai peggiore del buco.

 

Ora, però, archiviata la vicenda Venditti (può capitare a tutti una sera d’estate di dire delle sciocchezze, anche se, ad esempio, a me non sarebbe mai passato per la mente di dire qualcosa di assoluto ed inappellabile su un popolo), il dato che resta è un altro ed origina dalle dinamiche mediatiche che hanno creato l’onda anomala sulla cresta della quale è stata a cavallo l’intera vicenda.

 

Personalmente, nella qualità di direttore responsabile, ho scelto di pubblicare quel video non certo per esigenze di cronaca (il fatto, come lo stesso Venditti sottolinea era quasi stantio), ma per rispondere all’esigenza del lettore che ce lo ha segnalato e di altri che avevano già attenzionato il filmato, presente da mesi su youtube.

 

Che in poche ore, poi, la vicenda sia diventata un caso nazionale del quale, tra gli altri, si sono interessati col massimo risalto Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, Il Tempo, Il gazzettino, Sky tg 24, Rai, Radio 24 ore, Rtl, Radio Capital  qualcosa significa.

 

Significa che, al di là di tutto, le gente di Calabria ha reagito e lo ha fatto in maniera compatta.

 

I dati, quindi, sono due e rappresentano, reazione ed unità, un evento di portata storica per la Calabria che cela, però, il peccato originale.

 

Venditti sbaglia quando maledice la Calabria (“Dio, perché hai fatto la Calabria…?”), sbaglia ancora quando la etichetta come priva di cultura, sbaglia ulteriormente nei modi e nei contenuti della rettifica, ma solleva – e lo fa con la credibilità dirompente dell’artista – una tematica sulla quale ci troviamo d’accordo e, addirittura, al suo fianco se vorrà veramente dimostrare di essere vicino alla Calabria.

 

Per la Calabria non c’è più tempo e, al di là di quanto detto da Venditti in senso stretto, questo era probabilmente, il contenuto del concetto che, vanificato dal corto circuito cervello-lingua verificatosi nella notte di Marsala, Antonello Venditti avrebbe voluto esprimere.

 

La Calabria – e strill.it  lo ha scritto in tutte le salse - sta affondando, vittima non certo del destino cinico e baro, ma di sé stessa. Non di una mancanza di cultura, caro Antonello, ma, paradossalmente, della presunzione derivante dalla consapevolezza di essere figli della cultura.

 

Ma la cultura da sola non basta per garantire sviluppo, la coscienza etica troppo spesso è stata travolta dal senso “familistico” più o meno allargato che ha prodotto danni forse irreparabili ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

 

La reazione e la compattezza della Calabria offesa dalle parole (ma non, secondo me, dall’anima di quanto dichiarato da Venditti) dimostrano che ancora un minimo di capacità reattiva della gente calabrese c’è.

 

Vorremmo tanto, noi di strill.it, essere travolti di mail – come accaduto per il cantautore romano – anche per vicende gravissime, che trattiamo quotidianamente e per le quali sarebbe bene che i responsabili, politici e non, sentissero lo stesso fiato sul collo che ha portato il caso-Venditti da strill.it a Sky tg 24 passando per Repubblica, Tg com, Radio 24, Corsera.

 

Vorrebbe dire che, forse, un po’ di speranza per la Calabria c’è ancora.

 

 

 

Mostra altro

La lettera di Rosi Bindi - Ringraziamento alla solidarietà ricevuta

10 Ottobre 2009 , Scritto da CARANAS Con tag #POLITICA

Grazie a tutti di cuore! Mi sono arrivati migliaia di messaggi di amicizia e di affetto che mi hanno commosso. Ognuno meriterebbe una risposta personale ma sono davvero tantissimi. È bello sentire il calore e la vicinanza di tante persone, sapere che c’è un legame invisibile che ci tiene uniti, anche nella distanza, anche se non ci si conosce.
So che è un legame fatto di affinità umane e culturali e di una stessa concezione della vita pubblica. Da tutti traspare quanto sia ancora diffusa e pronta la capacità di reagire e di indignarsi di fronte  all’arroganza del potere. Ed è in fondo questo che conta di più. Quindi, ancora, grazie davvero.
Mi sento però di rassicurare tutti gli amici e le amiche che mi hanno scritto: non sono affatto annientata dalle parole offensive e gratuite del Presidente del Consiglio. Anzi  sono più che mai felice di essere una donna. Ho sempre pensato che gli insulti definiscono chi li pronuncia. E in questo caso Berlusconi non ha fatto che riproporre la sua concezione, ormai tristemente nota, delle donne .
Berlusconi avrà pensato che un suo intervento ci avrebbe zittito e ridato fiato ai suoi. Avrà pensato di potersi impossessare del video, come in altre occasioni, per l’ennesimo monologo incendiario. Quando però si è trovato di fronte  un’interlocutrice che non lasciava passare i suoi commenti eversivi sulla Presidenza della Repubblica e sulla Corte Costituzionale, che non accettava il ruolo silenzioso di comparsa o connivente, non ha trovato altra soluzione che cercare di ridurla all’unica dimensione femminile che è capace di concepire: un corpo da svilire o apprezzare.

Mi ha chiamato ostentatamente «signora» mostrando di non considerare significativo il fatto che fossi un’esponente dell’opposizione e Vicepresidente della Camera dei deputati. Ma da tempo abbiamo capito che il nostro Presidente del Consiglio rifiuta di riconoscere competenze pubbliche alle donne ed è incapace di misurarsi con noi in modo paritario. Con quelle espressioni da cabaret, ha cercato di colpire me ma ha offeso tutte le donne e le stesse istituzioni. Lo hanno sottolineato meglio di me e in vario modo Chiara Saraceno sulla Repubblica di oggi, Cinzia Sasso e Stefania Rossini, sui siti di Repubblica e l’Espresso, Concita De Gregorio sull’Unità, Caterina Soffici sul Riformista, Ida Dominijanni sul Manifesto, e come ben riassume l’appello promosso da Michela Marzano , Barbara Spinelli e Nadia Urbinati, sempre sul sito di Repubblica.

Ripartiamo allora dalla Costituzione e dalla difesa della legalità democratica senza dimenticare che l’agenda dei problemi del paese è molto lunga e le donne sono le prime a pagare i costi della crisi economica e di una politica sociale che riduce i servizi, taglia le risorse alla scuola  e alla sanità, smantella il sistema di solidarietà pubblica. Grazie
Rosy Bindi

 

Mostra altro
1 2 > >>